domenica 13 marzo 2016

INFORMAZIONE: Loggiato San Bartolomeo - Palermo

Il Loggiato San Bartolomeo, in corso Vittorio Emanuele, a pochi metri dalla monumentale Porta Felice che segna la fine dell’antico ‘Cassero’, era in origine parte integrante di un ospedale, edificato nella prima metà del XIII secolo dalla confraternita di San Bartolomeo.
Dalle fonti storiografiche ed iconografiche la configurazione attuale del Loggiato risale al 1608, anno in cui il viceré marchese di Vigliena patrocinò l’ampliamento del complesso, dotandolo di un grandioso cortile ed adornandone la facciata con elementi in pietra intagliati.
Ed è proprio questa parte, aggiunta in un secondo momento e probabilmente adibita prima a padiglione per la degenza dei malati infettivi, poi a ricovero per i bambini abbandonati sulla “ruota degli esposti”, che è arrivata ai nostri giorni, sottraendosi agli attacchi del tempo.
In seguito ai bombardamenti del maggio 1943, infatti, dell’antico ospedale rimase soltanto il seicentesco loggiato a due ordini, con prospetto sul Foro Umbert I, scandito da lesene che inquadrano, al primo ordine, archi a tutto sesto e, al secondo, archi dal profilo sinuoso: a coronamento una balaustra traforata che ritaglia spicchi di cielo.
Laboriosi e accurati sono stati i restauri promossi e finanziati dalla Provincia e conclusi dieci anni fa. Tutte le strutture in pietra sono state ripristinate secondo le tecniche più moderne e l’originaria profondità dell’edificio è stata recuperata e valorizzata con la realizzazione di grandi vetrate, assolutamente trasparenti, che fanno leggere l’interno come un suggestivo libro di memorie, trasformando le ampie navate in lunghi e luminosi ballatoi protesi sul mare. Gli interventi di restauro condotti dalla Provincia hanno disegnato e sancito dunque un nuovo rapporto tra il monumento e il contesto urbano circostante. Attualmente il secondo e terzo piano ospitano ampi saloni per eventi d’arte di grande rilievo, mentre il piano terra e il piano ammezzato sono stati adibiti a spazi per mostre documentarie e esposizioni fotografiche. Ma è nella pittura e nella scultura contemporanee che il San Bartolomeo ha trovato la sua vocazione più compiuta: dal 1998, anno della riapertura al pubblico, ad oggi, si sono succedute personali, antologiche e collettive di primo piano. Solo per citare alcuni nomi: Tano Festa, Renato Mambor, Emilio Greco, Giacomo Manzù, Pedro Cano, Croce Taravella, Giuseppe Modica, Piero Guccione, Gregorio Botta, Alessandra Giovannoni, Antonio Miccichè. Fino alla recente mostra di Igor Mitoraj, lo scultore franco-polacco ma ormai italiano d’adozione, che ha portato nei saloni di corso Vittorio Emanuele una summa della sua opera più apprezzata e controversa: ovvero i bozzetti preparatori per le monumentali porte in bronzo della basilica S.Maria degli Angeli di Roma (ex Terme di Diocleziano). In esposizione, anche i bozzetti delle scene e dei costumi ideati e realizzati per gli allestimenti di Tosca e Manon Lescaut.
E proprio di fronte l’ala ovest del San Bartolomeo, per suggellare il suo amore nuovo e speciale con la città di Palermo, Mitoraj ha lasciato una testimonianza permanente: una scultura in bronzo alta tre metri e battezzata Eroe elimo, dedicata al mito del soldato della Magna Grecia e idealmente alla millenaria storia del mare che si stende nel fronte del Foro Umberto I.

INFORMAZIONE: Palazzo Sant'Elia - Palermo


Con l’arrivo in Sicilia del primo primo viceré spagnolo, Palermo diviene la capitale del governo viceregio, ed enormi somme vengono destinate al rinnovamento della città e al suo sviluppo urbanistico e monumentale. Ai primi del ’600 si realizza il “taglio” di via Maqueda (dal nome del viceré Bernardo de Cardines, duca di Maqueda che ne tracciò il percorso) che, intersecando il Cassaro divide la città in quattro parti “Mandamenti” attuando a scala urbana un’astrazione geometrica legata ad ideali formali di decoro e teatralità, tipicamente barocche. La “Nuova Strada” diviene subito la direttrice principale lungo la quale le casate nobili più in vista possono gareggiare nell’ostentazione del proprio fasto e magnificenza per mostrare ciascuna il proprio potere economico e politico. Nell’arco di un secolo vengono erette ai suoi lati due magnifiche quinte architettoniche, formate da palazzi aristocratici e chiese di ordini religiosi.
In un periodo dove l’apparire è più importante dell’essere non poche famiglie estenuano il proprio patrimonio in questa corsa tanto folle quanto sfrenata che lascia, però ai posteri, un centro storico tra i più grandi e belli d’Italia.
Palazzo Celestri di S. Croce e Trigona di Sant’Elia con i suoi oltre 75 metri di prospetto e i suoli 15 balconi arricchiti da ringhiere a petto d’oca, non è solo uno degli edifici più grandi della città ma è il paradigma architettonico delle sue prestigiose dimore barocche.
La costruzione, su preesistenze cinque-secentesche, risale al 1756, per volere di Giovanbattista Celestri, primo marchese di Santa Croce che dette apposito incarico all’architetto Nicolò Anito, Ingegnere Regio che iniziò con la costruzione del portale principale e della facciata su Via Maqueda prendendo il posto di alcuni corpi bassi e del giardino. Sempre l’Anito disegnò la nuova distribuzione interna con l’infilata delle anticamere sulla Strada Nuova fino alla sontuosa Galleria, con le retrocamere sul Piano degli Scalzi, mentre il quarto d’udienza fu posto tra i cortili.  I lavori furono conclusi nel 1765 dall’architetto Giovanbattista Cascione che aveva affiancato l’Anito sin dal 1757, subentrandogli nel 1760 data in cui si iniziò la realizzazione del magnifico cortile d’onore e le opere di “abbellimento della facciata” con l’introduzione di un intonaco a finto marmo negli sfondati, e di una finitura ad imitazione del mattone nelle porzioni sovrastanti i timpani e nel cornicione tra le finestre d’attico..
Al contempo con la costruzione delle volte dei saloni uno stuolo di artisti più o meno noti si dedicò alla decorazione pittorica. Ottavio Violante, allievo del Serenario, fu incaricato della decorazione del medaglione centrale della Galleria raffigurante una allegorica scena mitologica. Altre parti dello stesso affresco furono decorate da Rocco Nobile mentre gli stucchi furono eseguiti da Aloisio Romano. Lo stesso Rocco Nobile si incaricò dell’affresco della prima e della terza anticamera, mentre Mariano Di Paola, Pietro Bilardi e Nicolò Noto decorarono la seconda. I due cortili, le due scale, l’organizzazione su tre livelli, la successione degli ambienti, gli affreschi dei saloni, le statue e gli stucchi danno l’idea molto precisa di una società dove la realtà era un grande palcoscenico in cui ogni atto della vita quotidiana era pensato in funzione del prestigio proprio e del proprio casato. Tutto mirava ad esaltare le virtù e la potenza e la munificenza del casato, con il consueto repertorio del simbolismo iconologico classico.
Gli stessi artisti dipinsero i sopraporta, ornarono le porte realizzate da abili intagliatori con pitture, talvolta con foglie d’argento meccato, nell’intento di realizzare un’espressione artistica ricca di armonia e di unità stilistica.
I lavori continuarono per oltre vent’anni durante i quali si impose il neoclassicismo e dopo la morte di Giovambattista, Tommaso, suo fratello ed unico erede, fece dipingere le volte del quarto antico a Benedetto Codardo, pittore napoletano, ed al Manno, nel nuovo stile che si ritrova anche in altri ambienti secondari.
 Le successive vicende storiche e finanziarie della famiglia influenzarono ovviamente quelle della dimora. Con il terremoto del 1823 il Palazzo Senatorio fu gravemente danneggiato e Giovambattista Celestri e Celestri, succeduto a Tommaso, affittò il quarto nobile del palazzo al Senato, mentre un altro quarto era già stato affittato al barone Ciotti. Nel 1829 il Senato lasciò definitivamente il palazzo che negli anni quaranta divenne sede del Reale istituto per l’incoraggiamento d’agricoltura, arti e manifatture. Giovambattista non ebbe figli maschi e la figlia Marianna morì nubile nel 1866 lasciando erede universale Romualdo Trigona principe di Sant’Elia che vi abitò dal 1870 al 1877. Alla sua morte il patrimonio venne espropriato per i debiti contratti. Successivamente i figli riuscirono ad aggiudicarsi alcuni beni già espropriati ed il Palazzo passò al principe Domenico. Nel 1921 la figlia di questi, Laura decise con la madre di vendere la parte rappresentativa ai fratelli Lima. Prima di allora il palazzo aveva avuto altre destinazioni tra le quali anche quella di Amministrazione delle Ferrovie. Negli agli anni ’50 fu anche utilizzato come sede della scuola media “G. Verga”, fino a cadere progressivamente nel totale abbandono, esposto al saccheggio.
Nel 1984 l’Amministrazione Provinciale acquistò il palazzo dal Lima, ma si dovette attendere fino al 1996 per il progetto del primo intervento organico di restauro dei prospetti.
Il restauro dell’edificio ha comportato per l’Ente un notevole sforzo finanziario e per l’equipe di progettisti, per la complessità delle emergenze architettoniche, artistiche, tecniche e statiche ha rappresentato una vera e propria sfida.
Nel corso del restauro sono stati riportati all’antico splendore gli affreschi e gli stucchi restituendo agli ambienti il fascio e la bellezza di un tempo.
Ultimate le fasi del restauro preliminare sulla base di un progetto redatto da Maurizio Rotolo, Paolo Mattina e Luigi Guzzo della direzione  Sovrintendenza Beni culturali della Provincia, il palazzo ha avuto la sua definitiva destinazione a sede di esposizione museale.
E’ quindi partita la seconda fase di interventi con un progetto di adeguamento i cui lavori sono stati coordinati dall’arch. Rosa Maria Di Benedetto e diretti dagli ingegneri Simone Fardella, Salvatore Serio, Gheri Traina e Francesco Trapani e dagli architetti Maurizio Rotolo, Valentina Sabella, Cesari Mari, Francesco Barbato e Marcello Agolino.  
Adattare un palazzo del ‘700 a sede museale è un’altra grande sfida per gli enormi problemi tecnici da affrontare e l’esigenza di rispettare la storia e l’architettura dell’edificio senza snaturare la sua essenza.
L’equipe ha dimostrato, ancora una volta, che quando si lavora in sinergia sostenuti dall’entusiasmo e dalla professionalità ogni traguardo diventa possibile, ogni sfida può essere vinta.
via Maqueda, 90133 Palermo

INFORMAZIONE: Palazzo Jung - Palermo


Costruito nella prima metà dell’800 in via Lincoln, fu residenza della famiglia Jung, tre fratelli ebrei giunti da Milano agli inizi del diciannovesimo secolo, per impiantare in città una grande impresa di esportazione di frutta secca, essenze, agrumi e sommacco. I figli di Mario, Guido e Ugo Jung, divennero i maggiori esportatori di agrumi dell’isola; Guido, che intanto aveva studiato economia, fu anche ministro della Finanze sotto la dittatura fascista.
La residenza di via Lincoln, situata lungo l’antico “stradone di Alcalà”, faceva parte di quella cortina edilizia che, a partire dalle fine del ‘700, aveva occupato l’area di risulta dell’antico fossato della città, e si era assiepata a ridosso dei bastioni e delle mura cittadine ormai in disuso. Il Palazzo risponde nello stile e nella visione architettonica dello spazio alle esigenze imprenditoriali della nuova classe capitalista, alla quale si doveva il risveglio del commercio e della finanza siciliana. In anni ben più recenti è stato adibito a sede dell’Istituto Alberghiero di Stato. Al di là del prospetto a tre ordini, con un portale con balcone decorato da colonne in pietra, si apre la corte da cui si domina il suggestivo giardino, restituito dalla Provincia alla fruizione del pubblico palermitano per eventi di spettacolo e cultura.
Gli interventi di restauro finanziati dall’Amministrazione di Palazzo Comitini, per un importo complessivo di 4 miliardi 800 milioni, si sono rivolti soprattutto al consolidamento della struttura oltre che all'abbellimento dei locali interni e ai necessari adeguamenti alle nuove normative. I lavori, ultimati nel 2000, hanno interessato una superficie totale di circa 6mila metri quadri, suddivisi tra piano terra, primo e secondo piano, più una serie di ammezzati e naturalmente il bellissimo giardino. Sono stati consolidati i solai lignei, risanata la parte ricostruita in cemento armato dopo i bombardamenti dell'ultima guerra, predisposti gli impianti antincendio, la termoclimatizzazione e gli impianti elettrici per adeguarli alle norme Cei; sono state demolite alcune costruzioni realizzate all'interno del palazzo in tempi successivi. Inoltre, sono stati restaurati i prospetti esterni, quelli interni e le chiostrine. E ancora, si è provveduto ad una nuova fornitura di infissi, è stata consolidata la volta affrescata e i controsoffitti. Un altro lotto di lavori, che interesseranno prevalentemente il piano nobile, è già stato finanziato per un importo di 700mila euro.
 Un’oasi di verde nel cuore della vecchia Palermo. Sono bastati due mesi di lavori per riportare al suo originario splendore il giardino di Palazzo Jung, ridotto, dopo anni di oblio, ad una giungla di arbusti, sterpaglia, detriti e rifiuti. Nel parco, sul quale sono intervenuti quasi esclusivamente lavoratori socialmente utili, con un budget minimo rispetto al valore del bene, convivono oggi piante esotiche e piante mediterranee, in un suggestivo gioco di luci e ombre che creano un’atmosfera molto particolare. Il disegno irregolare e sinuoso dei viottoli, la ricca collezione di piante rare, tra cui il Coccolus Laurifolius e il maestoso Ficus Macrophylla, oltre alla palme e alle dracene. L’intervento di recupero è iniziato con una metodica pulizia dei parterre delle aiuole e dei percorsi; è stato quindi avviato un programma di interventi sulle alberature, attraverso leggere potature dei rami secchi e delle foglie basali. In seguito si è passati al ridisegno delle bordure delle aiuole, nel rispetto del loro tracciato originario, al rifacimento dei sentieri e al restauro conservativo del tetto e degli esterni dell’alloggio del custode, attraverso la messa in sicurezza della copertura, il ripristino degli intonaci esterni, mediante “scialbatura”, e la tinteggiatura dei prospetti.
Via Lincoln, 73 - 90133 Palermo

INFORMAZIONE: Io Guido Car Sharing